Il 27 dicembre il vaccino è arrivato in Europa e in Italia. Nel Vaccine Day ci sono stati i primi vaccinati e le prime ampie polemiche e le diffidenze in merito. Queste diffidenze si sono manifestate non solo tra complottisti da tastiera ma anche tra gli operatori delle RSA, dove c’è stato il particolare caso di una struttura piemontese dove 48 operatori su 50 hanno detto “no” al vaccino.
Non è sufficiente e non è stato recepito il messaggio scientifico persistente sul fatto che il vaccino fosse sicuro e della sua importanza sul fronte COVID. Non sono state sufficienti nemmeno i numerosi controlli svolti dalle autorità del farmaco europee e italiane. Infatti, l’obbligatorietà del vaccino è un tema che raccoglie molto consenso ma rischierebbe di ottenere il risultato di una maggiore opposizione. Questo, in un mondo individualizzato dove ognuno ha la velleità di porre se stesso dinanzi alla collettività e dove l’informazione – tanta e non necessariamente codificata e organizzata – crea la percezione di possedere la conoscenza e la comprensione che, poi, non si riscontra nei fatti.
Il problema della scarsa fiducia oppure ostilità nei confronti dei risultati scientifici in materia di vaccini – e in generale nelle autorità della conoscenza – si è accentuata maggiormente in un ring che vede combattere gli scientisti e gli scettici. Da una parte si hanno due grandi massime “la scienza non è democratica” e “2+2 non fa 5”. Dall’altra parte si hanno schiere di complottisti e scettici di diverse estrazioni per cui la conoscenza, in sostanza, non ha dei criteri e che bastano informazioni testuali sommarie lette qua e là per formulare delle asserzioni.
La fondamentale premessa è che all’interno dei ring con tali tipologie di contrapposizioni hanno molto facilmente torto entrambe le posizioni. Questo torto reciproco è frutto della comunanza di metodo: se da una parte i no-vax, partendo da prerogative puramente percettive, culturali e politiche, asseriscono la pericolosità del vaccino, dall’altra parte del ring si intende affrontare un problema che non ha una natura medica nelle sue cause – nonostante ne abbia negli effetti – confondendo in maniera significativa aspetti speculari dello stesso problema. Il fatto che un individuo o gruppi organizzati di individui non vogliano vaccinarsi è un problema medico negli effetti ma è sociale e politico nella sua natura di origine. Come lo si può affrontare, quindi?
In questo ring è piuttosto famoso Roberto Burioni a difesa della scienza e della sua non democraticità le cui massime sono piuttosto popolari ma soprattutto ambigue e non necessariamente giuste.
Tuttavia, Roberto Burioni non è un comunicatore, non è un pedagogista e non si occupa di problemi sociali. Una battaglia televisiva con diversi monologhi televisivi – perfetti per una aula di matricole – non può sortire l’effetto desiderato perché non vi è stata una opportuna cognizione del problema. Al contrario, si ha l’effetto comunicativo di creare posizioni maggiormente polarizzate, non solo nei contenuti ma anche nei numeri, legittimando un dibattito che non ha nulla di scientifico e che non si occupa del problema. Questa polarizzazione crea tensioni sociali e conflitti non utili. Non è necessario costruire una schiera di scientisti incazzati che se la prendono nei commenti dei disparati social media con i contenuti no-vax e allo stesso modo non sono utili quei contenuti che riprendono la personalità di Roberto Burioni di natura offensiva o denigratoria. Tenendo conto di quanto detto finora, è facile intuire che il problema è al di sopra delle due parti perché le sue fondamenta sono di natura comunicativa ed educativa.
La schiera che avrebbe ragione negli obiettivi e che quindi sbaglia in parte o completamente nei mezzi usati per perseguirli, fa altresì diversi errori concettuali importanti, soprattutto sulla prima asserzione fatta: la scienza non è democratica. Tale affermazione non ha ben chiaro né il concetto di democrazia e né il concetto di scienze.
Ludwik Fleck, 1896-1961
In questa riflessione è di soccorso Ludwik Fleck, vaccinologo, che nel 1935 in Genesi e sviluppo di un fatto scientifico ha descritto la costruzione della conoscenza scientifica analizzando il percorso della “scoperta” della sifilide. In quest’ultimo egli analizza come la costruzione dei fatti scientifici non sia un rapporto duplice tra il conoscente e l’oggetto della conoscenza ma come, invece, il patrimonio scientifico esistente sia, in realtà, il prodotto terzo dei due. Questo triangolo della conoscenza è la base del processo democratico inteso come trasformazione continua del sapere che in contesti liberi avviene con una certa naturalezza.
La parodia che viene fatta della democrazia e della scienza da parte di Roberto Burioni dove “la velocità della luce non può essere decisa per alzata di mano” è solo una loro parodia da palcoscenico ma non ha niente a che vedere con esse.
Il nostro problema è che, molto spesso, dei fenomeni si confonde la natura e non ne viene apportata una opportuna integrazione in termini di sapere. È chiaro che Roberto Burioni può dare un concreto contributo al problema medico con origini sociali del no-vax, ma è altrettanto chiaro che il suo contributo è privo di significato se non integrato da un lavoro più ampio che vede il contributo sociale e comunicativo di conoscenze diverse, piuttosto che dividersi nel “io sono un medico e chiunque altro no”. Al contrario deve essere il frutto di integrazione in senso costruttivo della soluzione di problemi che sono più complessi delle apparenti volontà individuali che non cambieranno significativamente in prima serata di “Che tempo che fa”.
In tale senso, questa riflessione non vale naturalmente solo per Roberto Burioni, che è stato fortunato nel raccogliere una platea di scientisti già esistente. Il problema riguarda più una schiera generale, di cui Burioni si è fatto portavoce. Battaglia di Burioni che pur essendo giusta, è piena di errori contenutistici e metodologici che interpretano male le cause di un problema più complesso e che non ha origini nelle discipline accademiche in cui è altamente accreditato.
Il problema è il medesimo che costruisce le fortune dei populisti. Una “moltitudine di individualità” che si sentono insicure, diffidenti e prive di orientamenti. Quegli elementi che aiutano a codificare la realtà e quello che si ha intorno nella dimensione fisica, virtuale e mediatica. Quelle dimensioni con cui è inevitabile fare i conti in un mondo complesso, in cui siamo entrati o transitati con l’insegnamento a non riconoscere il più grande limite di ognuno di noi e al contrario esaltandolo: la propria individualità. Non riconoscere quella costante necessità di vivere un mondo sociale dove comunicare, e farlo bene, è indispensabile per avere fiducia nelle istituzioni, parteciparvi e non avere esigenza di vivere in una continua tensione sociale di paura e diffidenza controproducente.
Juan Genovès “Desmembrado” – “Smembrato” 2015
Quindi è facile concludere che non è un politico che si vaccina in diretta a invertire la rotta. Il clima di fiducia e di partecipazione che manca alla governance dei problemi sociali come questo va costruito, come è avvenuta la costruzione, nell’indifferenza generale, del fenomeno della sfiducia nei vaccini. La democrazia, non a caso, è anche questo: far partecipare, definendo quelle istituzioni umane dove gli individui possano integrarsi tra di loro, comprendere e codificare la realtà. Quel luogo sociale e quel clima comunicativo dove l’intelligenza collettiva inverta e prevenga l’inevitabile stupidità e ignoranza individuale da cui nessuno è immune. È la doverosa opera di ingegneria e innovazione sociale e democratica di cui necessitiamo per uno sviluppo partecipativo con la stessa priorità con cui ci arrivano i vaccini.
Contributo di Alessandro Ruslans Fusco