Si è sempre pensato che la forza di qualsiasi tipo di criminalità organizzata risiedesse nei rituali ottocenteschi, nelle mitologie. E così, per molto tempo, si è parlato di mafia pensando a un qualcosa di puramente secolare, riconducibile alle tradizioni e ai culti di un popolo, come quello meridionale, ancora primitivo, non evoluto.
Ma dal mito nasce l’eroe, e dalle sue azioni nascono gli insegnamenti per le generazioni future. I racconti mitici non mirano solo ad essere parte integrante di un patrimonio “culturale”, ma vanno oltre le parole. I miti calabresi, così come quelli siculi, mirano a impartire delle ideologie e dei valori ben precisi, che con il tempo avrebbero portato gli emarginati sociali alla ribalta, creando un potere nel potere, uno Stato nello Stato: la ‘ndrangheta.
Uno stato che, con l’avvento di Nicola Gratteri, attualmente procuratore della DDA di Catanzaro ha iniziato a vacillare. A quasi trent’anni dalla fine del processo a Cosa Nostra, che portò allo smantellamento delle famiglie corleonesi e dei suoi alleati, la giustizia torna a battere pugno, stavolta in Calabria. Cinque processi in un’unica operazione denominata “Rinascita-Scott” guidata dallo stesso procuratore Gratteri, uno spiraglio di luce in una terra martoriata da una criminalità che non sempre uccide con un grilletto, ma uccide con il silenzio, con la paura, con un’omertà senza tempo. Il processo si è avviato lo scorso 19 Gennaio e ha visto coinvolti 479 persone, tra politici, amministratori locali e non solo. Le indagini hanno scoperchiato un vaso di pandora sugli intrecci inconfessabili tra ‘ndrangheta, politica, imprenditoria e pezzi di massoneria deviata.
E dunque comprendiamo che la ‘ndrangheta non è solo un problema di giustizia, di legalità, di territorio. È un fenomeno ben radicato all’interno della nostra società, che inquina il tessuto democratico, mediante accordi, mediante trattative con la politica e non solo. Così la società muore, l’economia smette di essere competitiva e i figli del domani crescono con la consapevolezza che per poter crescere in un determinato territorio devi inchinarti alla potenza della criminalità. Una criminalità con il volto pulito e le mani sporche di sangue.
Numeri importanti, ma soprattutto una risposta importante da parte del procuratore e da tutta la squadra impegnata nelle indagini. Ciò che però amaramente impressiona, a distanza di mesi è il silenzio mediatico che è calato sul maxi-processo.
La politica sembra snobbare la lotta alla mafia, soprattutto quella calabrese. Questa è silente, ombrosa, non fa più chiasso, non uccide, non mette bombe, e non perché questi metodi non facciano parte del suo Dna, ma per una precisa strategia: meno si mostra, più viene ignorata. E la totale assenza di interesse pubblico per il processo Rinascita Scott che si dimostra essere purtroppo una strategia purtroppo vincente. L’omertà è sempre stato il punto forte della ndrangheta.
Nonostante la poca visibilità mediatica, nonostante non se ne parli, il fatto che ci sia un processo in atto, il fatto che le cosche calabresi siano state duramente colpite nei loro loschi affari è una grande risposta per il territorio, che a sua volta, per la prima volta in un territorio come Vibo Valentia ha saputo rispondere con gratitudine e forte vicinanza alle istituzioni.
Sindaci, gente comune e ragazzi hanno percepito la risposta di Gratteri mobilitandosi per le strade di Vibo Valentia, organizzando una vera marcia della legalità, marcia che portava il nome di “Vibo libera”.
Vibo Valentia sicuramente costituisce un punto di inizio, una speranza per le generazioni anziane e soprattutto quelle future. Ma il lavoro non finisce certamente qua. Di certo i territori del sud costituiscono un punto di appoggio per le ‘ndrine calabresi. Negli ultimi vent’anni sono risusciti a espandersi e conquistare tutti i territori del Nord-Italia. Politici, società finanziarie, bancarie, accordi con il Vaticano, la ‘Ndrangheta si compra tutto. Ma l’Italia non basta.
I calabresi vogliono espandersi, rimanendo sempre ben saldi e fedeli ai propri codici e alle proprie regole. Ed è qui la differenza netta e sostanziale tra Cosa Nostra e la mafia calabrese.
Come ha scritto Vincenzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia: “Non vi è continente che possa considerarsi immune dalla presenza della ‘Ndrangheta, provocata in parte dai massicci fenomeni di emigrazione del passato, ma anche dalla estrema mobilità degli esponenti e dei suoi appartenenti e dalla capacità di adattamento a ogni ambiente, anche quello apparentemente più lontano e ostile”.
Nonostante le ’Ndrine ,i gruppi familiari che formano le varie cosche, siano radicate in ogni parte del mondo, in particolar modo Australia, Canada, godendo di rapporti diretti anche con i grandi cartelli dell’America Latina, il baricentro degli affari illeciti rimane l’Europa. I Länder, gli stati federali della Germania, costituiscono i campi di guerra delle principali cosche della provincia di Reggio Calabria, in particolare quelle di San Luca (RC), dove da anni si occupano della contraffazione di banconote, appalti pubblici e spaccio di stupefacenti.
Così come la Germania, anche l’Olanda è diventata una delle basi da guerra delle ‘Ndrine: il porto di Rotterdam è secondo solo a quello di Gioia Tauro per l’importo di sostanze stupefacenti e non solo.
Dunque un impero del crimine, che non smette di avanzare, inarrestabile, che brama controllo, che brama potere. Ma non impossibile da sconfiggere. Lo stesso procuratore Gratteri confessa “Qualche tempo fa affermavo che contro la ‘ndrangheta possiamo al massimo pareggiare. Oggi, invece, credo che si stia aprendo una stagione storica. «Non chiedo a nessuno di fare l’eroe, di immolarsi – ha aggiunto -, anche se noi siamo disposti a morire con gli occhi aperti se necessario. Ma dovete fare la vostra parte. Noi da soli possiamo vincere qualche battaglia ma non la guerra.” Una guerra che può essere combattuta assumendo nel concreto una posizione netta e di rifiuto nei confronti della ‘ndrangheta. La giustizia ci dà le basi, ora spetta a noi agire per un futuro d
Si è sempre pensato che la forza di qualsiasi tipo di criminalità organizzata risiedesse nei rituali ottocenteschi, nelle mitologie. E così, per molto tempo, si è parlato di mafia pensando a un qualcosa di puramente secolare, riconducibile alle tradizioni e ai culti di un popolo, come quello meridionale, ancora primitivo, non evoluto.
Ma dal mito nasce l’eroe, e dalle sue azioni nascono gli insegnamenti per le generazioni future. I racconti mitici non mirano solo ad essere parte integrante di un patrimonio “culturale”, ma vanno oltre le parole. I miti calabresi, così come quelli siculi, mirano a impartire delle ideologie e dei valori ben precisi, che con il tempo avrebbero portato gli emarginati sociali alla ribalta, creando un potere nel potere, uno Stato nello Stato: la ‘ndrangheta.
Uno stato che, con l’avvento di Nicola Gratteri, attualmente procuratore della DDA di Catanzaro ha iniziato a vacillare. A quasi trent’anni dalla fine del processo a Cosa Nostra, che portò allo smantellamento delle famiglie corleonesi e dei suoi alleati, la giustizia torna a battere pugno, stavolta in Calabria. Cinque processi in un’unica operazione denominata “Rinascita-Scott” guidata dallo stesso procuratore Gratteri, uno spiraglio di luce in una terra martoriata da una criminalità che non sempre uccide con un grilletto, ma uccide con il silenzio, con la paura, con un’omertà senza tempo. Il processo si è avviato lo scorso 19 Gennaio e ha visto coinvolti 479 persone, tra politici, amministratori locali e non solo. Le indagini hanno scoperchiato un vaso di pandora sugli intrecci inconfessabili tra ‘ndrangheta, politica, imprenditoria e pezzi di massoneria deviata.
E dunque comprendiamo che la ‘ndrangheta non è solo un problema di giustizia, di legalità, di territorio. È un fenomeno ben radicato all’interno della nostra società, che inquina il tessuto democratico, mediante accordi, mediante trattative con la politica e non solo. Così la società muore, l’economia smette di essere competitiva e i figli del domani crescono con la consapevolezza che per poter crescere in un determinato territorio devi inchinarti alla potenza della criminalità. Una criminalità con il volto pulito e le mani sporche di sangue.
Numeri importanti, ma soprattutto una risposta importante da parte del procuratore e da tutta la squadra impegnata nelle indagini. Ciò che però amaramente impressiona, a distanza di mesi è il silenzio mediatico che è calato sul maxi-processo.
La politica sembra snobbare la lotta alla mafia, soprattutto quella calabrese. Questa è silente, ombrosa, non fa più chiasso, non uccide, non mette bombe, e non perché questi metodi non facciano parte del suo Dna, ma per una precisa strategia: meno si mostra, più viene ignorata. E la totale assenza di interesse pubblico per il processo Rinascita Scott che si dimostra essere purtroppo una strategia purtroppo vincente. L’omertà è sempre stato il punto forte della ndrangheta.
Nonostante la poca visibilità mediatica, nonostante non se ne parli, il fatto che ci sia un processo in atto, il fatto che le cosche calabresi siano state duramente colpite nei loro loschi affari è una grande risposta per il territorio, che a sua volta, per la prima volta in un territorio come Vibo Valentia ha saputo rispondere con gratitudine e forte vicinanza alle istituzioni.
Sindaci, gente comune e ragazzi hanno percepito la risposta di Gratteri mobilitandosi per le strade di Vibo Valentia, organizzando una vera marcia della legalità, marcia che portava il nome di “Vibo libera”.
Vibo Valentia sicuramente costituisce un punto di inizio, una speranza per le generazioni anziane e soprattutto quelle future. Ma il lavoro non finisce certamente qua. Di certo i territori del sud costituiscono un punto di appoggio per le ‘ndrine calabresi. Negli ultimi vent’anni sono risusciti a espandersi e conquistare tutti i territori del Nord-Italia. Politici, società finanziarie, bancarie, accordi con il Vaticano, la ‘Ndrangheta si compra tutto. Ma l’Italia non basta.
I calabresi vogliono espandersi, rimanendo sempre ben saldi e fedeli ai propri codici e alle proprie regole. Ed è qui la differenza netta e sostanziale tra Cosa Nostra e la mafia calabrese.
Come ha scritto Vincenzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia: “Non vi è continente che possa considerarsi immune dalla presenza della ‘Ndrangheta, provocata in parte dai massicci fenomeni di emigrazione del passato, ma anche dalla estrema mobilità degli esponenti e dei suoi appartenenti e dalla capacità di adattamento a ogni ambiente, anche quello apparentemente più lontano e ostile”.
Nonostante le ’Ndrine ,i gruppi familiari che formano le varie cosche, siano radicate in ogni parte del mondo, in particolar modo Australia, Canada, godendo di rapporti diretti anche con i grandi cartelli dell’America Latina, il baricentro degli affari illeciti rimane l’Europa. I Länder, gli stati federali della Germania, costituiscono i campi di guerra delle principali cosche della provincia di Reggio Calabria, in particolare quelle di San Luca (RC), dove da anni si occupano della contraffazione di banconote, appalti pubblici e spaccio di stupefacenti.
Così come la Germania, anche l’Olanda è diventata una delle basi da guerra delle ‘Ndrine: il porto di Rotterdam è secondo solo a quello di Gioia Tauro per l’importo di sostanze stupefacenti e non solo.
Dunque un impero del crimine, che non smette di avanzare, inarrestabile, che brama controllo, che brama potere. Ma non impossibile da sconfiggere. Lo stesso procuratore Gratteri confessa “Qualche tempo fa affermavo che contro la ‘ndrangheta possiamo al massimo pareggiare. Oggi, invece, credo che si stia aprendo una stagione storica. «Non chiedo a nessuno di fare l’eroe, di immolarsi – ha aggiunto -, anche se noi siamo disposti a morire con gli occhi aperti se necessario. Ma dovete fare la vostra parte. Noi da soli possiamo vincere qualche battaglia ma non la guerra.” Una guerra che può essere combattuta assumendo nel concreto una posizione netta e di rifiuto nei confronti della ‘ndrangheta. La giustizia ci dà le basi, ora spetta a noi agire per un futuro diverso e certamente migliore.
Contributo di Valentina Todaro.