Nell’ultimo anno, in seguito ad alcune dichiarazioni, fatte nel mese di marzo dal segretario del partito democratico Enrico Letta, si è ricominciato a parlare di estensione del diritto di voto ai sedicenni. Il dibattito sulla questione è stato più volte ripreso, nel 2007 si ricorda una proposta lanciata dall’allora segretario del PD Walter Veltroni. Un’analoga iniziativa fu poi avanzata dalla Lega Nord nel 2015.
In Italia per esprimere il proprio voto per la Camera e il Senato bisogna avere compiuto i 18 anni di età (fino a luglio 2021 per eleggere i membri del senato bisognava aver compiuto i 25 anni). Estendere il diritto di voto ai e alle sedicenni, significherebbe mandare alle urne circa 1 milione e 141 mila persone in più, secondo dati Istat, una percentuale da sola non determinante e che non potrebbe spostare grandi equilibri, anche se tutte e tutti votassero compattamente per il medesimo partito.
In Europa negli ultimi decenni alcuni Paesi hanno progressivamente abbassato i limiti per il voto: in Austria chi ha sedici anni vota dal 2007; in Grecia i diciassettenni possono votare dal 2016. La Scozia ha fatto votare al referendum per l’indipendenza, nel 2014, i sedicenni, e anche in Norvegia nel 2011 c’è stata una sperimentazione in occasione di alcune elezioni locali. In Germania in determinati lander i sedicenni hanno il diritto di voto e lo stesso avviene anche nel cantone di Glarona in Svizzera.
Per quanto riguarda il resto del mondo i e le sedicenni possono votare in Argentina, Brasile, Ecuador, Nicaragua e a Cuba. In Indonesia e a Timor Est, invece, si può votare dai 17 anni in poi. Negli Stati Uniti, nel 2015, è nato un movimento “Vote16Usa” che lavora per estendere il diritto ai più giovani.
Le ragioni contro l’estensione del diritto di voto sono legate, in genere, alla capacità di discernimento e conoscenza della situazione politica dei ragazzi e delle ragazze. Alcuni ritengono, poi, che gli adolescenti per la loro impulsività ed emotività rischino di essere più facilmente strumentalizzati dalle varie forze politiche. Facendo poi, un paragone fra la generazione di diciottenni che nel 1975 andò a votare per la prima volta, in seguito alla riforma costituzionale che abbassò il diritto di voto dai 21 ai 18 anni di età, viene sottolineato come i giovani di oggi abbiano una maturità politica diversa e meno consapevole. Esistono anche opinioni più moderate che vorrebbero concedere il voto agli adolescenti dopo aver combattuto la povertà educativa delle nuove generazioni.
Per quanto queste siano osservazioni valide e provenienti spesso da professionisti ed esperti, non si può fare a meno di notare come le motivazioni addotte contro il voto ai sedicenni siano simili a quelle utilizzate verso la fine dell’800 e i primi anni del ‘900 per limitare il diritto di voto alle donne ritenute troppo impulsive e facilmente influenzabili dai loro mariti. In Inghilterra, infatti, nel 1867 contro il movimento suffragista veniva addotta la tesi secondo la quale il voto femminile fosse “un doppio voto” per gli uomini sposati, perché questi ultimi avevano una grande influenza sulle loro mogli. Nel medesimo periodo numerosi erano i pamphlet contro il suffragio femminile che sostenevano come l’impulsività delle donne avrebbe portato a una scelta troppo dettata dall’emotività. Analoghe critiche venivano fatte quando, ai tempi del suffragio censitario sempre nel ‘900, si discuteva sul concedere il voto anche agli analfabeti. Questi ultimi venivano considerati troppo ignoranti per capire la politica e dunque non in grado di votare. In generale ogni qual volta, nella storia, si è voluto non concedere il diritto di voto a una determinata categoria di individui si è andati a riflettere sulla capacità e sulla qualità di scelta al momento del voto.
Una delle principali motivazioni a supporto dell’abbassamento dell’età è legata a ragioni demografiche. In Italia vi è un forte squilibrio fra chi ha meno di 35 anni e chi ne ha più di 65. Squilibrio che permarrebbe anche concedendo il voto ai sedicenni, ma che in qualche modo potrebbe essere così, quantomeno, essere abbassato. Ad oggi, infatti, le generazioni che maggiormente verranno influenzate dalle decisioni dei diversi governi sono quelle che, statisticamente hanno un peso inferiore in termini di voti. Questo ha delle conseguenze nell’agenda politica, chi viene eletto deve rendere conto ai propri elettori ed è chiaro che le priorità sono meno rivolte al futuro.
Allo stesso tempo il cambiamento climatico e le sfide che questo comporta e comporterà in futuro hanno mobilitato e mobilitano costantemente una frangia sempre più alta di giovani. Chi ha sedici o diciassette anni oggi ha molto da perdere dalle decisioni prese da chi è al governo e dovrebbe avere la possibilità di influenzare e partecipare, tramite il voto, alla vita politica del paese.
Il movimento Vote16Usa evidenzia come il far votare i più piccoli possa portare questi ultimi a informarsi di più e a rafforzare in questo modo l’educazione civica dei ragazzi. Alcuni esperti in studi elettorali hanno scoperto, poi, studiando le elezioni europee del 2009, che in Austria, dove i ragazzi e le ragazze votano dal 2007, i più giovani andavano a votare e si informavano esattamente come i più anziani.
Infine è importante sottolineare che per votare in una democrazia rappresentativa e che punti a una maggiore inclusione, non bisognerebbe guardare agli strumenti culturali e all’educazione civica dei singoli. Ai più grandi oggi non viene richiesta, come è giusto che sia, la conoscenza della costituzione o del sistema politico. Né allo stesso tempo, si pensa, di ritirare il diritto di voto a categorie di persone che, magari per problemi neurologici o malattie rischiano di essere meno lucide all’atto di votare. L’obiettivo di una democrazia è quello di dare voce ai più diversi interessi e alle esigenze di tutti e tutte con l’obiettivo di conciliare istanze differenti e il voto ai sedicenni potrebbe essere uno strumento per avere una visione più ampia e una vita politica più ricca e partecipata.
A cura di Federica Fusco